Storpio il titolo di un libro di
Gino e Michele che secondo me calza a pennello al discorso che voglio fare.
Mi dispiace per i sei soldati morti a Kabul e per quelli feriti e per tutti quelli morti e feriti in passato e per quelli che lo saranno purtroppo (evidentemente) in futuro.
Mi spiace per le famiglie, per gli amici, chiunque ha perso una persona cara sa cosa significhi.
Ma non riesco ad unirmi al "dolore del paese", non riesco ad andare ai funerali di stato o a mettere bandiere alle finestre, a prescindere se a chiederlo sia Alemanno o Veltroni o Berlusconi o Prodi o Di Pietro o la Santanche'.
Non riesco a sentirmi parte di questo paese che diventa massa solo per eventi di orgoglio nazionalista, siano essi tristi (funerali di stato) o gioiosi (mondiali di calcio) che siano.
Non riesco a sopportare il fatto che quotidianamente a Roma (non in giro per l'Italia o tantomeno a Kabul) ci siano investimenti e spesso morti a causa dell'imprudenza di quelli, italiani o stranieri, che non considerano le conseguenze dei propria atti scellerati, fossero anche solo le soste in doppia fila (è capitato proprio a me di esserne vittima).
Magari qualcuno di questi scellerati è uno di quelli con la bandiera, anzi diciamo che sono certo che alcuni di quelli con la bandiera e con gli occhi colmi di lacrime per i poveri militari, nella vita di tutti i giorni sono dei potenziali assassini.
Vediamo se ci si accappona la pelle anche per morti non altrettanto "gloriose":
Leggo
questo messaggio di un socio dell'Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada
"Sono un nuovo membro di questa associazione. Mio padre è stato investito la sera del 16/09 ed è deceduto nella notte tra il 16 e il 17.
E' stato centrato e catapultato fuori in un cespuglio da un ragazzo che correva ad alta velocità.
Non ha frenato e la sua macchina si è fermato ad oltre 250 metri."
Penso a quest'uomo che è morto, alla sua famiglia, avevano (forse) scelto una vita più tranquilla di quella di un militare eppure il risultato è un'assenza non preventivata: non causata da un credo religioso, ne' da una motivazione politica, neppure da una malattia come l'influenza A, che tanta eco ha ora (giustamente) sulla stampa.
Il fatto che il conducente fosse drogato o meno, ubriaco o meno, puo' essere fuorviante, perche' e' sufficiente da pedone cercare di attraversare sulle strisce pedonali, per capire quanto le droghe e l'alcool siano marginali in un quotidiano di prepotenza, mancanza di rispetto per gli altri e distrazione che caratterizzano chi conduce mezzi di locomozione (auto, moto, a volte anche bici).
E si continua a morire, non solo a Kabul, ma anche a Roma:
"Il 18 settembre 2009 - Un anziano di 79 anni, L.D.C., e' morto questa mattina, intorno alle 11.35,
dopo essere stato investito da un camion in viale Marconi a Roma.
L'uomo e' stato trasportato in codice rosso all'ospedale San Camillo dove e' deceduto. "